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Miscellanea

Il vino sostenibile e la ‘ricetta’ di 2400 anni fa: così all’Isola d’Elba cresce l’agricoltura che va oltre il biologico

di Luca Zanini

Nell’Ottocento l’isola era uno dei più grandi produttori di vino bianco italiani, c’erano ben 5 mila ettari terrazzati, 32 milioni di piante di vitis vinifera. Quelle che vede laggiù dove ora ci sono boscaglie, macchia mediterranea e filari di olivi, erano tutte terrazze con filari di vite». Oggi all’Elba ci sono 14 vigneron che sviluppano le loro aziende su 300 ettari e producono in tutto circa 400mila bottiglie. Ed è qui che nascono due esperimenti ugualmente straordinari; il primo riguarda la resurrezione di un vino prodotto 2400 anni fa sull’isola greca di Chios, privo di additivi chimici; il secondo è il progetto per la conduzione totalmente sostenibile delle vigne. Entrambi sono in corso presso l’azienda Arrighi, che con il suo Nesos è stata la prima al mondo a produrre vino arcaico, come quello dei greci del quinto secolo avanti Cristo con uve immerse in acqua di mare – tra i 7 e i 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini – e, dopo l’appassimento, fermentate in anfora.

La perla dell’Arcipelago Toscano sperimenta guardando al passato. Qui, un vino prodotto 2400 anni fa sull’isola greca di Chios risorge con una formula priva di additivi chimici e le vigne crescono in un parco nazionale.

Antonio Arrighi ci accoglie in cantina per una visita che spazia proprio tra questi orci di terracotta (prodotti all’Impruneta, alcuni hanno 80 anni), le botti in rovere e i filari di Ansonica, Vermentino, Biancone, Viognier, Sangioveto, Sirah, Sagrantino, Aleatico… «Parte del nostro vino, e non soltanto il Nesos, matura in anfore da 200, 300 fino a quasi mille litri», spiega. «Abbiamo iniziato con le terracotte nel 2010, ma l’azienda è ben più vecchia, risale ai miei genitori e all’epoca era la fattoria a chilometro zero (ma allora non si usava questo termine, avere verdure e frutta fresche dall’orto di famiglia era normale) che riforniva il nostro albergo, l’hotel Belmare a Porto Azzurro». Solo con Antonio l’attività enologica divenne centrale, «per passione, per amore dell’Isola d’Elba e della sua incredibile biodiversità».

Antonio Arrighi controlla la maturazione delle sue uve in vigna Antonio Arrighi controlla la maturazione delle sue uve in vigna
Cinque giorni nelle acque del Tirreno

A Pian del Monte, sulle colline sopra a Porto Azzurro nelle anfore si producono due bianchi con acini interi, con una macerazione importante, e un rosso che resta negli orci quasi due anni, ma senza bucce. Anche il Nesos, il vino prodotto con uve di Ansonica che restano 5 giorni in acqua esposte alle correnti del Tirreno che ne “lavano” le bucce (qui la spiegazione del procedimento mutuato dai greci di Chios), matura in queste anfore.
Ma quel che conta, al di là del Nesos e del suo straordinario successo commerciale (nella bella stagione arrivano comitive di turisti americani per gustare questo nettare che parte da 250 ma arriva sul mercato anche ai 400 euro a bottiglia), è quello che l’azienda Arrighi sta facendo per la salvaguardia del territorio e della biodiversità dell’Elba.

L’Unesco e le specie floreali censite in vigna

«La nostra azienda si sviluppa per 22 ettari di cui 8 coltivati vigna, completamente all’interno del Parco dell’Arcipelago Toscano che fa parte della Riserva della Biosfera Mab Unesco ‘Isole di Toscana’», spiega Arrighi, «e per questo motivo i terreni inclusi sono scesi un po’ di prezzo permettendoci di acquistare altri appezzamenti da mettere a vigna». Arrampicandoci sul costone che si eleva dalla parte opposta de carcere di Porto Azzurro, verso le antiche miniere di ferro a cielo aperto, Arrighi ci mostra un ettaro di campi fioriti, dove sorgerà la nuova vigna di Ansonica. Proprio accanto ai filari più alti della sua azienda.
Siamo in un campo dove si mescolano in una tavolozza degna di Monet fiori di ogni tipo e colore: ranuncoli, iris azzurri, tarassaco, papaveri rossi e viola, piselli odorosi, carduncoli, cisto bianco, lavanda selvatica, raponzoli. «Con un biologo, un ricercatore universitario, ne abbiamo censite ben 40 specie oltre a quelli che conosco io fin da bambino». E questi fiori resteranno anche con le nuove vigne «perché noi non diserbiamo, facciamo viticoltura più che biologica, senza chimica: né tra i filari né in cantina», assicura.

 

La panchina azzurra gigante collocata nelle vigne di Arrighi, all’interno del parco La panchina azzurra gigante collocata nelle vigne di Arrighi, all’interno del parco

 

Tra le belle vigne e l’anfiteatro recentemente creato nell’azienda Arrighi con muri a secco eretti usando unicamente le quattro pietre tipiche dell’Elba, si fanno soltanto trattamenti bio, con zolfo e rame che poi vengono lavati via dalle piogge. E si usano pochissimi solfiti in vendemmia anche sotto al limite minimo di legge. «I vini stabilizzano in maniera naturale e nel Nesos non ci sono neppure i solfiti perché alla conservazione di questo bianco concorre il sale assorbito per osmosi dagli acini», durante la permanenza in mare, dove i grappoli vengono immersi ed esposti alle correnti.

Lasciare che la natura riprenda il sopravvento

«Quando ero piccolo, negli Anni Cinquanta e Sessanta, tutti i terreni che vede là sotto, vicino al pallone e ai campi sportivi di Porto Azzurro, erano vigne. Vigne a perdita d’occhio. Non possiamo tornare a quell’epoca d’oro ma possiamo far sì che la natura riprenda il sopravvento dove è possibile. Anche oltre i confini del parco».
Oggi nei campi più in alto, vicino alla gigantesca panchina azzurra del Big Bench Community Project (è la numero 224), pascolano mucche che si nutrono solo di erbe selvatiche. Il censimento di erbe e fiori non è che una parte dell’impegno di Arrighi per la biodiversità: «Abbiamo avviato con l’Università di Pisa un progetto per la sostenibilità che prevede il recupero di gran parte del materiale di risulta delle coltivazioni e della vendemmia». Abbiamo potuto farlo perché l’Università ha trovato un’altra azienda vinicola in terraferma disposta ad aderire al progetto e ha ottenuto lo stanziamento di fondi attraverso un bando.

 

Giulia Arrighi al lavoro nelle vigne di Portoazzurro Giulia Arrighi al lavoro nelle vigne di Portoazzurro

 

La tenda-serra collegata al Cern di Ginevra

«Cosa prevede il progetto? La creazione qui sulle nostre colline di una tenda-serra molto particolare con dei sensori per la temperatura, collegata al Cnr a Pisa e ai computer del Cern di Ginevra, dove la ricerca sarà seguita da un ricercatore per valutare tutti i dati della sperimentazione».
Nella serra andranno accumulati gli scarti della vigna, «per recuperare tutto, evitare di buttar via qualsiasi parte». Quindi partendo dalla potatura, partendo dalla gestione del verde, delle foglie e dei grappoli scartati: «E la parte che ci interessa maggiormente, cioè recuperare i grappoli in più, invece di lasciarli a terra, e pure le vinacce dopo la premitura». Le vinacce e i semi di vinaccioli andranno a chi ne estrae sostanze per profumi e creme. I grappoli verdi saranno essiccati e poi tostati: «L’Università pensava di fare delle nasse e immergerli in mare, quindi avere dei grappoli verdi carichi di clorofilla, con poco grado alcolico, da esporre poi al sole e vedere infine che cosa se ne può ricavare. E poi riutilizzare i semi con la tostatura e rimetterli nel ciclo di produzione…». In altre regioni c’è chi li utilizza mettendoli nelle presse (come fanno per il fieno) e vendendoli come prodotti pressati. Invece i tralci dell’uva da potature andrebbero comunque trinciati per essere sparsi come concime. «Un tempo li si bruciava nei periodi consentiti, ma qui siamo nel parco e non possiamo fare alcun tipo di fuoco all’aperto».

Ilaria e il recupero delle acque della cantina

L’ultima parte del progetto sostenibilità vitivinicola riguarda il riciclo delle acque della cantina, seguito in prima persona dalla figlia Ilaria, che si occupa anche della comunicazione e del marketing aziendale. Una volta filtrate, vengono raccolte in vasche possono essere riutilizzate per l’irrigazione, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. «L’altra mia figlia, Giulia, sta per diventare enologo (le manca un solo esame) e mi sta scalzando dalla produzione del vino», ammette ridendo Antonio Arrighi.
Arrighi sta realizzando una nuova cantina dove spostare le botti in legno e il magazzino: «Qui a Pian del Monte resteranno soltanto le anfore e ne compreremo altre perché finora la produzione in anfora era limitata: ci siamo fermati, anche se io nelle anfore credo molto, soltanto perché non avevamo più spazio. Attualmente, con Ilaria e Giulia, facciamo 45mila bottiglie l’anno». Ma l’attivismo dell’imprenditore non si ferma alle proprie terre: nel 2016 fu il primo a inaugurare un tour per le vigne coinvolgendo i sommelier elbani e creando varie tappe tra i filari, per far degustare i vini dove nascono. Vini sostenibili, come dovevano esserlo quelli che bevevano gli antichi romani nella villa scoperta dagli archeologi nel 2012 vicino a Portoferraio, dotata di una cantina con sei grandi dolia per la fermentazione e di un ambiente per la conservazione in anfora dell’aceto di mele.

Fonte
CORRIERE.IT
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