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Un lockdown da fame. A Shanghai anche i cinesi si incazzano

La strategia zero Covid trasforma una città di 26 milioni di abitanti in un immenso carcere. Reclusi in casa, scarseggiano i beni di prima necessità, ma droni e cani robotici invitano a "tenere sotto controllo il desiderio di libertà". Ma la rabbia sui social e dalle finestre supera il filtro del regime: "Vogliamo mangiare, è chiedere troppo?"

Sars-Cov2 è una questione politica dal primo giorno, tra Occidente e Cina. Da quando era il “virus cinese” e se ne collocava l’origine tra il mercato generale e il laboratorio di Wuhan. La pervicacia di Pechino ha corretto presto il tiro della definizione, spingendo per imporre il neutro Covid-19; con la compiacenza dell’Oms ha tenuto la nebbia bassa sulle ricerche della sorgente. La reazione al virus è stata anch’essa una questione politica sin dall’inizio: l’approccio cinese “Zero Covid” – lockdown rigidissimi, tracciamento, quarantene diffuse, test di massa al minimo accenno di focolaio, a cominciare dai 76 giorni consecutivi imposti agli 11 milioni di abitanti di Wuhan di inizio 2020 – ha consentito di contenere fortemente il bilancio della pandemia rispetto al resto del mondo.

I dati ufficiali dicono che la Cina, con oltre un quinto della popolazione mondiale, ha avuto 4.638 decessi e 439mila contagi, nel mondo ci sono stati 6,18 milioni di morti e 500 milioni di casi. Per il regime di Xi Jinping il successo di zero Covid è la dimostrazione della superiorità del sistema socialista cinese rispetto alle liberaldemocrazie occidentali, che hanno annaspato davanti al dilemma fra esigenze sanitarie e libertà personali, e ancora oggi procedono a una dolorosa conta quotidiana dei morti.

Certamente, non si può negare, la capacità di tracciamento e test dimostrata dalla Cina è stata assolutamente invidiabile. Il contenimento però ha aperto la questione politica e culturale. Perché in molti paesi occidentali si è a lungo dibattuto perfino se fosse eticamente e giuridicamente lecito chiedere un certificato di avvenuta vaccinazione per lavorare oppure per poter accedere a bar, ristoranti e piscine. Mentre in Cina un video diventato virale su Weibo, il twitter cinese, mostra il silenzio spettrale della notte di Shanghai in lockdown, interrotto prima dalle urla di richiesta di aiuto che provengono dalle finestre dei compound in cui sono rinchiusi i residenti rimasti senza cibo e beni di prima necessità, e poi dalle luci intermittenti e dalla voce femminile e metallica di un drone che dal cielo invita alla calma: “Rispettate le regole anti-Covid. Tenete sotto controllo il vostro desiderio di libertà. Non aprite le finestre e non urlate”. Un po’ di contegno, insomma. A ricordarlo ai cittadini di Shanghai è anche un cane robotico che si aggira per le strade deserte e predica calma e ordine.

La megalopoli da 26 milioni di abitanti in lockdown dal 28 marzo scorso sta mostrando limiti e disumanità dell’approccio cinese. Per due anni il cuore economico e finanziario cinese è rimasto indenne dal Covid, ma oggi Shanghai è un immenso carcere. E Sars-Cov2 ritorna una questione politica: il Dipartimento di Stato americano sconsiglia ai cittadini americani di recarsi nella metropoli e ordina a tutto il personale non essenziale di andare via. E la Cina “si oppone con forza” alla decisione di Washington, definendola “una politicizzazione e una strumentalizzazione della questione”, un modo di “usare l’epidemia per impegnarsi in manipolazioni politiche e diffamare la Cina”.

Certamente i numeri dei contagi a Shanghai – 23mila circa di cui un migliaio sintomatici– non giustificano una fuga degli americani, anche se ancora oggi il responsabile della Commissione sanitaria nazionale ha ammesso che la pandemia non è sotto controllo e il numero di nuovi casi rimarrà alto (in base agli standard cinesi) anche nei prossimi giorni. Quello che può invece motivare la decisione di Washington sono le misure adottate dalle autorità locali per i residenti.

Un passo indietro. Il 25 marzo scorso Zhang Wenhong – il Tony Fauci cinese – smentiva una volta di più il ricorso a un diffuso lockdown a Shanghai. Chi diffondeva queste indiscrezioni veniva addirittura sottoposto a fermo. “Se Shanghai si fermasse completamente – aggiungevano le autorità locali – lo stop avrebbe un forte impatto sull’economia nazionale e internazionale”. Si era scelta la strategia soft di contrasto, con confinamenti limitati nello spazio e nella durata e test antigenici di massa. Ma Omicron non si è fermata. Il 27 marzo l’annuncio di un lockdown in due fasi: prima il lato a est del fiume Huangpu fino al primo aprile, poi il lato ovest dall’1 al 5 aprile. Tutti a casa, isolamento rigido per i contagiati e i contatti stretti, attività non essenziali chiuse, trasporto pubblico sospeso, veicoli non autorizzati non ammessi alla circolazione nelle strade. Ma anche questa strategia si è rivelata inefficace, per cui il Governo ha chiuso l’intera città a tempo indeterminato. Pechino ha inviato l’esercito e circa 40mila fra medici e infermieri per fare i test a tutta la popolazione, ha convertito alcuni poli in centri per l’isolamento che possono ospitare fino a 160mila persone, una delle più colossali operazioni di salute pubblica della storia cinese.

Tutto questo finora non è servito a spegnere il focolaio. Ancora oggi Ma Xiaowei, direttore della Commissione sanitaria nazionale, sottolinea che se la Cina rinunciasse alla prevenzione e si affidasse interamente al trattamento dei sintomi, il sistema sanitario nazionale correrebbe il rischio di essere sopraffatto, per cui “la strategia zero Covid è la più efficace possibile”. Eppure le proteste hanno costretto le autorità ad allentare la morsa e dividere la città in tre aree di rischio, con l’effetto che però ancora ad almeno 15 milioni di persone è vietato uscire di casa.

La parziale retromarcia è dovuta al fatto che la Cina non è riuscita ad arginare e a nascondere più di tanto la rabbia dei cittadini di Shanghai. L’assenza di consegne di generi alimentari e di prima necessità è uno dei maggiori problemi con cui le autorità della metropoli hanno avuto a che fare in questi giorni. Le aziende di delivery non riescono a soddisfare la domanda. Nel frattempo la logistica è in ginocchio, con i container che continuano ad accumularsi: oltre il 90% dei camion è fuori servizio e vige il divieto di entrare e uscire dalla città senza un permesso speciale, valido solo per 24 ore e solo su percorsi specifici. L’ondata di rabbia è montata sui social network. “C’è stato un cambiamento” afferma Manya Koetse di What’s on Weibo che monitora le tendenze sul social cinese, sottolineando che prima c’erano alti livelli di sostegno alla strategia zero Covid del Governo, “a inizio di aprile lo stress da lockdown ha cominciato a farsi sentire e dopo le prime richieste di aiuto è scoppiato il panico. Molti si chiedono come sia possibile, dopo due anni, che una città come Shanghai non abbia una strategia adeguata per gestire il lockdown e per prendersi cura della popolazione. Tuttavia penso che ci siano ancora molte persone che si fidano della strategia nazionale. Sono solo critici su come le autorità locali lo stanno implementando”. Su Weibo, la pagina “Perché le persone infette da Covid-19 non possono isolare a casa?” ha ricevuto oltre 160 milioni di visualizzazioni lunedì.

Le bacheche dei social cinesi sono inondate di richieste di aiuto, nonostante i migliori sforzi dello stato per censurarli: c’è chi dice di non avere più da mangiare, chi denuncia di non potersi curare, di non potersi sottoporre a dialisi o ai trattamenti anti-cancro. La Cnn cita il caso di un uomo malato di cancro allo stomaco che avrebbe dovuto sottoporsi a chemioterapia, ma che non ha avuto il permesso di lasciare l’isolamento nella propria abitazione. La rabbia e la frustrazione accumulate per giorni sono esplose nelle proteste di alcuni residenti che hanno violato la quarantena domiciliare e sono scesi in strada alla ricerca di cibo, urlando la loro rabbia contro la polizia e il personale sanitario. Le cose non vanno meglio neppure nelle strutture adibite alla quarantena, dove manca di tutto e monta la rabbia. Ha poi suscitato grande scalpore la decisione di separare i bambini contagiati dai genitori, poi solo parzialmente risolta.

Xi Jinping, al ventesimo congresso del Partito comunista cinese in programma nell’autunno del 2022, diventerà con ogni probabilità il leader cinese più longevo degli ultimi decenni. Non vuole ombre sul suo momento di gloria. E gli analisti ritengono che le misure stiano infliggendo un duro colpo all’economia cinese, che potrebbe risentirne pesantemente già nel trimestre in corso. Da tenere d’occhio anche il destino di Li Qiang, potente segretario del partito di Shanghai e fedelissimo del leader, destinato a entrare nel ristretto gruppo del Politburo e aspirante primo ministro, prima che la città diventasse il problema sanitario ed economico nazionale e la vetrina della disumanità della tolleranza zero cinese sul Covid.

I punti deboli sono l’impatto dei vaccini – quelli cinesi si sono rivelati meno efficaci di quelli occidentali – un alto numero di anziani non vaccinati e l’altissima densità di popolazione nelle grandi città. Il tema della convivenza con il Covid resta affidato senza il minimo dubbio alla strategia Zero Covid. Ma tutto questo sta mostrando il conto, umano ed economico.

FONTE CARLO RENDA huffingtonpost.it

Fonte
huffingtonpost.it
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