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Scienza

Chi rischia di più con il Covid? Su Nature uno dei più ampi studi di analisi genomica

Evidenziati alcuni punti deboli del genoma di alcune popolazioni (o persone) che portano ad aggravarsi. Confermati i fattori di rischio dipendenti dal fumo e dall’alto indice di massa corporea

Sono usciti su Nature i risultati di uno dei più grandi studi di associazione a livello genomico mai eseguiti, che include quasi 50mila pazienti Covid e due milioni di controlli su soggetti non infetti. La domanda cui doveva rispondere era quali fattori genetici influenzano il motivo per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e potenzialmente letali, mentre altri positivi al coronavirus «se la cavano» con sintomi lievi o sono addirittura asintomatici?

I risultati delle ricerche

Un riassunto completo dei risultati rivela 13 «loci», luoghi nel genoma umano, che sono fortemente associati a infezioni da Covid grave. Dei 13 loci identificati finora dal team, due avevano frequenze più alte tra pazienti di origine dell’Asia orientale o dell’Asia meridionale rispetto a quelli di origine europea. Uno di questi due loci in particolare, vicino al gene FOXP4, è collegato al cancro ai polmoni. La «variante FOXP4» associata a grave Covid aumenta l’espressione del gene, suggerendo che inibire il gene potrebbe essere una potenziale strategia terapeutica. Altri loci includevano DPP9, un gene sempre coinvolto nel cancro ai polmoni e nella fibrosi polmonare, e TYK2, che è implicato in alcune malattie autoimmuni.
I ricercatori hanno anche identificato, e confermato, l’importanza di alcuni fattori causali dipendenti dagli stili di vita, come il fumo e l’alto indice di massa corporea.
I risultati potrebbero contribuire a fornire obiettivi per le terapie future. Attualmente non esistono terapie mirate sull’infezione, a parte gli anticorpi monoclonali (ne abbiamo parlato QUI).

La nascita del progetto

L’idea della ricerca è partita nel marzo 2020 da Andrea Ganna, capogruppo presso l’Institute for Molecular Medicine Finland (FIMM) dell’Università di Helsinki e Mark Daly,direttore FIMM e membro dell’istituto presso il Broad Institute del MIT e Harvard di Boston, Massachusetts. Il progetto, che ha preso il nome di COVID-19 Host Genomics Initiative, è cresciuto fino a essere una delle collaborazioni più estese nella genetica umana e attualmente comprende oltre 3.500 autori e 61 studi provenienti da 25 paesi, tra cui l’Italia: nell’area milanese, oltre a Humanitas, hanno partecipato l’Università degli studi di Milano e l’Università degli studi di Milano Bicocca. «Meglio riusciamo a curare il Covid, più la comunità medica saprà gestire la malattia e il suo impatto sulla società. A questo scopo, il consorzio globale ha reso immediatamente disponibili alla comunità scientifica i dati raccolti, in modo da accelerare il più possibile le ricerche da parte di altri scienziati. Lo scopo è quello di scoprire strategie terapeutiche che consentano, grazie al contributo della genetica nel comprendere i meccanismi molecolari della malattia, di utilizzare farmaci già esistenti che potrebbero portare rapidamente a nuove terapie», spiega la professoressa Rosanna Asselta, docente di Genetica Medica di Humanitas University, che ha coordinato il contributo di Humanitas.

I prossimi studi

Il prossimo passo sarà studiare cosa differenzia chi soffre di Long Covid dopo essersi ammalato (pazienti i cui sintomi persistono per mesi) dagli altri e continuare a identificare «loci» aggiuntivi associati a infezioni e malattie gravi. Il primo studio osservazione sulla popolazione italiana, condotto in Humanitas a marzo 2020 da Stefano Duga, Rosanna Asselta, Elvezia Maria Paraboschi e Alberto Mantovani era volto a comprendere i fattori che influenzano la suscettibilità all’infezione, la gravità del decorso clinico della malattia e la maggiore severità dei sintomi che si osservano negli uomini rispetto alle donne malate. Dallo studio sono emerse informazioni sulla frequenza di varianti in geni importanti per l’infezione che causa Covid nella popolazione italiana.

FONTE SILVIA TURIN CORRIERE.IT

FOTO  GETTY IMAGES CORRIERE.IT

Fonte
corriere.it
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