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Omicron, scandali e un voto che fa paura. “Stavolta BoJo è in guai seri”

Bill Emmott a HuffPost: "Molti Tory stanno cambiando opinione, ma Covid gioca in suo favore. Johnson è unfit to lead come Berlusconi, che se va al Quirinale è un disastro"

Dal suo arrivo a Downing Street, nel luglio del 2019, il premier britannico Boris Johnson non ha mai conosciuto giorni così complicati. La sua popolarità è in caduta libera, trascinata giù da un mix di fattori. Costretto dalla “marea Omicron” all’ennesima inversione a U sulle misure anti-contagio, il premier deve fare i conti con una rivolta senza precedenti dei parlamentari Tory: martedì sera in 99 hanno votato contro il nuovo pacchetto di provvedimenti che prevede, tra l’altro, l’obbligo di Green pass per accedere a discoteche e grandi eventi. Le misure sono passate grazie all’appoggio dei laburisti, il cui leader, Keir Starmer, ha esortato Johnson a “domandarsi se abbia l’autorità per guidare questo Paese attraverso la pandemia”.

Gli ultimi tempi sono stati uno stillicidio di scandali, dal party di Natale dello scorso anno in pieno lockdown (negato e poi ammesso quando foto e video non davano alternative) alla lussuosa e poco trasparente ristrutturazione voluta dalla moglie Carrie, finita sotto lo scrutinio di un’indagine parlamentare. Con all’orizzonte il delicato appuntamento di giovedì, quando i conservatori rischiano di perdere nella roccaforte storica del North Shropshire, in un’elezione suppletiva considerata un referendum sulla leadership di BoJo.

Per Bill Emmott, giornalista e scrittore britannico, già direttore dell’Economist, siamo una fase inedita nella vita politica del fu mattatore Boris Johnson. “Per la prima volta Johnson è in seri guai all’interno del partito conservatore. I suoi colleghi lo hanno sempre guardato con sospetto per il fatto di essere egocentrico, non molto competente e disonesto, ma finora lo hanno sempre considerato una risorsa elettorale, un vincente alle urne, capace di garantire al partito buoni risultati. Ora le cose stanno cambiando: la sua popolarità è in declino ed è circondato dagli scandali. Molti nel partito stanno cambiando opinione: iniziano a non vederlo più come una risorsa, ma come un possibile problema in futuro”.

La ribellione dei legislatori Tory è stata solo l’antipasto di una settimana che potrebbe aprire la strada a una sfida per la leadership già a gennaio. La partita decisiva si giocherà giovedì nel North Shropshire, dove è in lizza un seggio alla Camera dei Comuni lasciato libero da un deputato conservatore, Owen Paterson, costretto a dimettersi il mese scorso per attività di “lobbying sleale”. In caso di sconfitta (a vantaggio dei Lib Dem), alcuni parlamentari vicini all’ex premier Theresa May, ormai riferimento dell’opposizione interna, sarebbero pronti a formalizzare una lettera di sfiducia a Johnson. Ne servono 54 per arrivare alla conta.

“Se il voto di ieri in Parlamento – con il suo piano B appoggiato per “dovere patriottico” dai laburisti – segna una controversia importante all’interno del partito, il voto di giovedì rappresenta un momento ancora più importante per il suo futuro politico”, spiega Emmott ad HuffPost. “Tra le file dei conservatori c’è già un acceso dibattito su chi può essere il suo successore, o quanto meno il suo sfidante. La vera domanda è chi sarà a lanciare la sfida; solitamente non è il candidato principale, ma qualcuno che ha delle chance e poi apre la strada al vero sfidante. I nomi più forti, oggi, sono quelli della ministra degli Esteri Liz Truss, del cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak o dell’ex segretario di Stato Jeremy Hunt”.

Secondo Emmott, è difficile che la sfida per la leadership venga formalizzata prima di gennaio. “In caso di una vittoria Tory, anche di misura, è possibile che la pausa natalizia fornisca a Johnson l’occasione per risalire un po’ nei sondaggi e allentare la tensione nel partito. In caso di sconfitta, invece, la sfida per la leadership sarà inevitabile, ma non è detto che Johnson ne esca perdente. Abbiamo già visto Theresa May affrontare la sfida e vincerla; anche Johnson potrebbe farcela, sempre che nelle prossime settimane non emergano nuove notizie compromettenti sul suo conto…”.

Il riferimento è ai molti scandali che nelle ultime settimane hanno contribuito alla discesa di Johnson nei sondaggi. Uno riguarda una festa di Natale dello scorso anno a Downing Street: mentre il Paese era bloccato in casa durante il lockdown, con i malati che morivano da soli negli ospedali, Boris e il suo staff si concedevano un party “cheese and wine”, “per niente distanziato”, da spacciare alla stampa come un “business meeting”. Peccato che la registrazione delle prove del briefing – con abbondanti risate – siano state girate dai giornali, costando – per ora – il posto all’attrice protagonista, l’ormai ex portavoce Allegra Stratton. Un altro filone di polemiche è quello che avvolge la ristrutturazione dell’appartamento di Downing Street. La scorsa settimana la Commissione elettorale ha multato il partito conservatore di 17.800 sterline per non aver riportato accuratamente le donazioni con cui è stata finanziata l’opera. Altre accuse di corruzione o “lobbying sleale” lambiscono il suo entourage in modo sempre più vistoso.

Il risultato è che, per la prima volta da anni, i laburisti hanno superato i conservatori nel sondaggi. L’indice di apprezzamento del premier è ai minimi storici, crollato di 11 punti rispetto a metà novembre. Nelle ultime rilevazioni di YouGov sulle intenzioni di voto, i conservatori sono calati al 32%, il dato più basso dalle elezioni stravinte nel 2019. Secondo l’opinionista Tanya Gold, “ci sono tutti i segni che l’incantesimo che il signor Johnson ha lanciato sul Paese si sta spezzando, che le persone si stanno rendendo conto della verità su di lui […]. Ora due terzi del Paese non si fida di lui, e metà pensa che dovrebbe dimettersi. L’umore nel suo partito conservatore è, secondo un membro, ‘sulfureo’”.

Ma il destino di Boris potrebbe non essere segnato. “Paradossalmente, la variante Omicron potrebbe giocare a suo favore”, argomenta Emmott, che a settembre in un’intervista ad HuffPost aveva commentato – senza sorpresa – la precedente inversione a U di BoJo sul green pass (prima lo aveva annunciato, poi lo aveva ritirato, ora lo sta reinserendo). Su un politico imprevedibile come Johnson, infatti, l’imprevedibilità del virus può avere effetti inattesi. “Se da un lato tra i Toreis – come nella Lega o in Fratelli d’Italia – c’è una forte presenza di politici che sono fortemente contrari alle restrizioni anti-Covid e al green pass, dall’altro lato l’opinione pubblica è molto preoccupata per l’aumento dei contagi ed è in maggioranza favorevole alle nuove misure. Questa situazione potrebbe aiutarlo a restare in sella”.

Persino la stampa filo-conservatrice, tuttavia, sembra averlo già scaricato. “La crisi a Downing Street non è un imbarazzo passeggero, è un punto di svolta che ha spogliato il premier di qualsiasi credibilità residua”, scrive il Telegraph, giornale del quale Johnson è stato editorialista, nonché corrispondente da Bruxelles prima di lanciarsi in politica. Era chiaro sin dall’inizio che Johnson fosse inadatto al ruolo (“not fit for the job”), è il giudizio di Alex Massie sullo Spectator, settimanale di cui il premier è stato direttore. “Pensate – scrive Massie – a tutti coloro che hanno fatto il loro dovere per aiutare la nazione durante l’emergenza. Pensate a tutti quei funerali deserti. Pensate agli addii che non sono stati pronunciati. Pensateci, e traete le vostre conclusioni. L’affaire della festa di Natale è quasi secondario. Ma abbiamo avuto conferma di qualcosa di peggiore delle menzogne del governo: un’incompetenza così completa da macchiarsi di indifferenza”.

Emmott – direttore dell’Economist al tempo del celebre titolo su Berlusconi, “unfit to lead Italy” – commenta: “Sono molto d’accordo con il giudizio di The Spectator: non ho dubbi sul fatto che Johnson sia unfit for the job’, ma per ragioni diverse rispetto a quelle per cui non lo era Berlusconi. Berlusconi aveva infranto molte leggi importanti e aveva un enorme conflitto d’interessi; Johnson è disonesto, ha un atteggiamento totalmente egocentrico rispetto alle regole, ma non è un fuorilegge nel modo in cui lo era Berlusconi”. Inevitabile, a questo punto, una domanda sull’ipotesi del Cavaliere al Colle. “Una sua elezione al Quirinale – che ritengo pressoché impossibile – sarebbe un disastro per l’Italia, che tornerebbe a essere materia di scherzo, e un pessimo segnale per il futuro della sua politica e della sua democrazia. La mia opinione è che Mario Draghi dovrebbe andare al Colle, così da capitalizzare il prestigio ottenuto dall’Italia in questi mesi. Ma questa, in effetti, è un’altra storia…”.

FONTE GIULIA BEARDELLI

 

Fonte
huffingtonpost.it
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