Maledetti dolci. Che si sa che se c’è qualcosa per la quale si può disubbidire a chiunque e a qualunque precetto è proprio il dolce. Pure quel sant’uomo di san Tommaso d’Aquino era capace di resistere a molte tentazioni ma non a quella del dolce. E così, per giustificarsi, scrisse che lo zucchero aiutava la digestione e che era quindi consentito anche quando non lo sarebbe stato. Il problema era il Codice di Diritto canonico che diceva: “Sono giorni e tempi di penitenza nella Chiesa universale tutti i venerdì dell’anno e il tempo di Quaresima”. Quaranta giorni di magro li si possono pure sopportare, ma senza dolci pure i sant’uomini zoppicano, figurarsi tutti gli altri. E così già dall’anno mille si iniziarono a trovare scappatoie. Nel tredicesimo secolo l’escamotage lo trovò san Tommaso d’Aquino, poi lo raffinarono in tanti. E così, quello che prima veniva prodotto illegalmente nemmeno fossero metanfetamine, diventò lecito. E fu un profluvio di dolci quaresimali che si diffusero un po’ a macchia di leopardo in tutta Italia. Ogni grande città aveva il proprio che spesso, generazione dopo generazione, mutava. In campagna no: solo lavoro e miseria. Un limite però era rimasto: non dovevano contenere sostanze di derivazione animale. Dolci leggeri, insomma: era pur sempre Quaresima.
I dolci quaresimali di oggi fanno tutti riferimento a tradizioni che si perdono nei secoli. E spesso fasulle, sistemate alla bell’e meglio per farsi belli con la storia. Per il semplice fatto che è improbabile che una ricetta abbia passato intatta i secoli, un po’ perché i gusti si sono evoluti, soprattutto perché la tradizione orale è più imprecisa della traiettoria di un piccione (che spesso veniva proprio mangiato semidolce, al miele, nel Duecento).
A Roma piacevano parecchio i maritozzi quaresimali, ossia dei panini dolci (ma senza latte e burro nell’impasto) con all’interno frutta candita e secca. Già nel Settecento i quaresimali erano diffusi in città. Giovanni Battista Piranesi in una lettera al nobiluomo britannico Thomas Hollis ricordava quelli del sor Cesiro “morbidi e profumati” e “con un gusto di limone impareggiabile”. Amante dei quaresimali era anche Achille Campanile che, dopo il decreto Paenitemini di papa Paolo VI che escludeva i dai precetti alimentari, si chiese: “E ora è aperta la via che sporcherà i quaresimali di burro e altre nefandezze”. Dove ci sono ancora, perché tra le vetrine di qualche forno ci sono ancora, i quaresimali sopravvivono ancora immacolati da “burro e altre nefandezze”.
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