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Salute

Covid in Cina, boom di casi e rischio varianti: ci saranno conseguenze anche in Occidente?

Gli esperti temono che con l’alta circolazione del virus possano emergere varianti totalmente nuove capaci di aggirare l’efficacia dei vaccini sulla malattia grave e rallentare la fase di endemizzazione del virus

 L’improvvisa esplosione di contagi in Cina sta preoccupando l’Organizzazione mondiale della Sanità, che pure solo pochi giorni fa vedeva come imminente la fine della pandemia da Covid-19 dal momento che con vaccini e terapie quasi tutto il mondo sta convivendo con Sars-CoV-2. Tuttavia la nuova imponente ondata di contagi in Cina dopo l’abbandono della politica «zero Covid» sta ora preoccupando moltissimo l’Oms che ha chiesto a Pechino, dati più precisi su contagi, ricoveri, decessi per valutare la gravità della situazione e il rischio tutt’altro che remoto che emergano nuove varianti immunoevasive.

Da una parte il governo minimizza, assicurando che non si sono verificati decessi da Covid dopo aver modificato i criteri di conteggio (cioé vengono calcolati solo quelli direttamente riconducibili a insufficienza respiratoria causata dal virus), ma dall’altra dagli ospedali delle megalopoli arrivano testimonianza drammatiche con terapie intensive sature e angoscianti code di bare davanti ai forni crematoi.

Il rischio di un milione di morti

Secondo un nuovo studio la Cina potrebbe trovarsi ad affrontare più di un milione di morti nel 2023, dopo il rapido cambiamento di rotta e l’abbandono della politica «zero Covid» che finora ha mantenuto le infezioni e i decessi relativamente bassi in un Paese abitato da 1,4 miliardi di persone. È proprio per questo che «sembra difficile che l’Oms possa parlare di post-pandemia quando una parte così significativa del mondo sta entrando nella sua seconda ondata» ha detto al Guardian Marion Koopmans, virologa olandese, consulente dell’Oms.

Il virus corre in una popolazione poco vaccinata

In questo scenario drammatico l’Oms e gli scienziati di tutto il mondo sono in allarme non solo per l’esplosione di casi e ricoveri che stanno mettendo a dura prova l’assistenza sanitaria in Cina, ma anche sulla possibilità che emergano nuove varianti, anche più efficienti di Omicron, se il virus continuerà a correre come sta facendo in una popolazione poco (e mal) vaccinata come lo è la Cina. «In Cina anche gli anziani, più vulnerabili, sono sottovaccinati – commenta Paolo Bonanni, epidemiologo, professore ordinario di Igiene all’Università di Firenze – e tra l’altro i prodotti utilizzati si sono dimostrati poco efficaci». In base alle stime disponibili solo il 25% della popolazione cinese ha un qualche grado di immunità a Omicron (vaccino o infezione): il resto della popolazione non avrebbe avuto ancora contatto con il virus, ma lo farà a breve con un’unica esplosione.

La politica zero Covid

Il vantaggio della politica zero-Covid fino a pochi giorni fa in Cina è chiaro: limitare i contagi. Tuttavia in questo modo nessuno diventerà immune, a meno che non vengano offerti vaccini altamente efficaci. Anthony Fauci, medico presidenziale e direttore uscente del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha affermato riguardo alla Cina che limitare la circolazione dei cittadini può essere utile «fino a quando non si riesce a far vaccinare la maggior parte della popolazione, in particolare gli anziani altamente vulnerabili». Ma questo in Cina non è successo: gli anziani sono stati poco vaccinati e i vaccini offerti, Sinopharm e Coronavac sono meno efficaci contro la malattia grave rispetto a Pfizer e Moderna.

La scarsa immunità in Cina

Dunque a causa della continua politica «tolleranza zero» e alla contemporanea scarsa vaccinazione della popolazione in Cina, Paese rimasto di fatto «congelato nel tempo», c’è relativamente poca immunità alle infezioni rispetto al resto del mondo. Oggi la popolazione cinese è praticamente immunologicamente naive come lo era il mondo all’inizio del 2020, con la differenza che Omicron è molto più contagiosa del ceppo ancestrale Wuhan e di quelli successivi.

Omicron non è meno pericolosa

Il boom di contagi, ricoveri e decessi che stiamo osservando in Cina rappresentano una prova sul campo che Omicron non si è poi così indebolita come molti credono. «Quando Omicron alla fine del 2021 ha colpito Europa e Stati Uniti la nuova variante sembrava relativamente mite, ma non perché Omicron con le sue mutazioni è diventata meno letale. Piuttosto la sua aggressività si è confrontata con un sistema immunitario allenato dalle vaccinazioni o dall’infezione e per questo la gravità di Omicron si è attenuata» spiega Bonanni. Ora c’è anche uno studio appena pubblicato che conclude che se Omicron non avesse incontrato una popolazione vaccinata come quella occidentale o comunque immune alla malattia, sarebbe stata letale come il ceppo Wuhan (ma meno di Delta).

Il rischio di nuove varianti

Ma perché gli esperti sono in allarme per il rischio di nuove varianti? Nel 2020 tutto il mondo era una verde prateria al nuovo Sars-Cov-2 e tutta la popolazione mondiale non aveva immunità al virus. Il ceppo Wuhan si è diffuso in tutto il mondo, è mutato in modo casuale dando poi origine ad altre varianti e sottovarianti sempre più contagiose. Tuttavia all’inizio della pandemia il virus non ha incontrato resistenze di immunità: i vaccini ancora non c’erano e in molti Paesi erano stati messe in atto politiche di lockdown o coprifuoco che limitavano la circolazione delle persone e di conseguenza la trasmissione del virus.

Ora però in Cina, che conta quasi un miliardo e mezzo di abitanti, stanno circolando a ritmo elevato diverse sottovarianti di Omicron e, secondo gli esperti, è inevitabile che emergano ceppi nuovi, anche con un vantaggio riproduttivo aumentato rispetto alle precedenti varianti. La probabilità di comparsa delle varianti cresce infatti con l’aumentare della circolazione del virus. «I virus a Rna come il coronavirus, – spiega Bonanni – ogni volta che si riproducono fanno degli errori, ma nella maggioranza dei casi le mutazioni non determinano cambiamenti importanti nella struttura del virus. Tuttavia in termini probabilistici più un virus circola più è probabile che nascano varianti significative come maggiore diffusività o patogenicità: come con la slot machine più tentativi vengono fatti più è elevata la probabilità che emerga una combinazione più diffusiva, o anche più aggressiva».

La paura di un ritorno indietro

«Mentre nei primi due anni di pandemia si sono create nuove varianti con ceppi diversi tra loro (Alfa, Delta, Beta, Omicron), nell’ultimo anno si sono sviluppate solo sottovarianti di Omicron – spiega l’epidemiologo – che rappresentano un segnale di una tendenza all’endemizzazione del virus grazie ai vaccini che si sono dimostrati efficaci contro la malattia grave anche nei confronti delle sottovarianti Omicron». Il problema oggi è che in Cina, con una circolazione del virus così elevata, potrebbe effettivamente nascere una variante completamente nuova e molto distante dal ceppo Omicron magari capace di superare la cross protezione che ci è stata offerta finora dai vaccini . «Ci troveremmo allora in una situazione più pericolosa, che » sotci potrebbe portare a livelli di malattia grave, ospedalizzazione e morte che non conoscevamo da tempotolinea Paolo Bonanni. Un fuoco di ritorno che oggi sarebbe difficile da digerire. «Non possiamo però prevedere se un evento del genere accadrà – chiarisce l’epidemiologo – e non è purtroppo prevedibile. Tra l’altro con l’avarizia di dati della Cina ogni previsione risulta ancora più difficile. Quello che possiamo fare noi oggi è vaccinarci con le quarte dosi per aumentare la protezione e offrire alla Cina aiuti sanitari efficaci anche contro Omicron come i vaccini Pfizer e Moderna e antivirali». Aiuti che però il presidente cinese Xi Jinping non sembra disposto ad accettare. «La pandemia ci ha insegnato che il virus non ha confini e una nuova variante nel nostro mondo globalizzato potrebbe rapidamente diffondersi ovunque» conclude Bonanni. Ricomincerà ancora una volta tutto dalla Cina?

FONTE Cristina Marrone corriere.it

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