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Brexit, cosa mangeranno gli inglesi in caso di «no deal». Dalla pizza al parmigiano, a rischio anche il rito del tè

Nonostante il Parlamento britannico si sia espresso contro la possibilità di uscire dall’Unione Europea senza accordo, il rischio di una «Brexit no deal» è concreto.

«In the worst case scenario»

Negli stessi giorni, infatti, i parlamentari – oltre ad avere approvato una proroga della Brexit (prevista in teoria il 29 marzo) – hanno bocciato per la seconda volta l’accordo di divorzio negoziato dal primo ministro del Regno Unito Theresa May con l’Unione Europea. Nel caso non si trovi un’intesa che definisca la tipologia di relazioni commerciali del Regno con gli altri Paesi, a risentirne sarebbe soprattutto l’alimentazione degli inglesi, che producono solo il 60% di ciò che mangiano e di conseguenza importano diverse tipologie di cibi. Sebbene sia altamente improbabile che nell’eventualità di un «no deal» le importazioni alimentari cessino del tutto, i negozi di alimentari e gli agricoltori si stanno preparando al peggio. Bloomberg ha stilato una lista degli alimenti a cui i britannici potrebbero dover dire addio in the worst case scenario.

Addio a brie e parmigiano

Le mucche inglesi producono moltissimo latte: ogni abitante ne avrebbe a disposizione quasi quattro litri alla settimana. Anche sul fronte delle uova non ci sarebbero problemi. Le difficoltà riguarderebbero soprattutto gli amanti dei formaggi stranieri, come il brie (francese) e il parmigiano (italiano). Probabilmente il Regno dovrebbe scordarsi anche del cheddar e del burro irlandesi e i contadini nell’Irlanda del Nord non potrebbero più far processare il latte oltre il confine.

Attenzione ai pomodori

Sicuramente ci sarebbero meno verdure e bisognerebbe pregare che i raccolti fossero sempre buoni. Poiché il Regno Unito importa quasi tutta la frutta e la metà delle verdure, l’allarme interesserebbe principalmente i prodotti freschi. Rimarrebbero qualche fragola e qualche lampone, mentre banane e avocado sarebbero fuori discussione. Non verrebbero invece a mancare piselli, carote e barbabietole, di cui gli inglesi dispongono in abbondanza. I broccoli sarebbero in vendita soltanto sei mesi all’anno, mentre i pomodori diventerebbero un alimento per le occasioni speciali (gli agricoltori inglesi producono appena un quinto di quelli venduti durante l’anno).

Fegato per tutti

Il Regno è tra i maggiori esportatori di carne d’agnello e produce 23 chili di pollo, 14 di manzo e 14 di maiale per abitante all’anno (queste cifre includono anche i tagli meno pregiati, attualmente venduti all’estero). Qualora gli scambi commerciali con gli altri Paesi dovessero cessare, potrebbe esserci carenza di cosce e lombi (molto popolari), ma nello stesso tempo si registrerebbe un’abbondanza di fegato. Dal momento che anche la soia e il mais fanno parte dei prodotti d’importazione, pure il bestiame dovrebbe cambiare la propria alimentazione.

Allarme pizza

Per il pane non dovrebbero esserci inconvenienti: nel Regno Unito si coltiva abbastanza grano per la maggior parte della produzione di farina. D’altro canto, i prodotti con un impasto più consistente – come la crosta della pizza – sono fatti di tipologie di frumento ad alto tasso proteico che in genere crescono ad altre latitudini.

Fish and chips rivisitato

Chi apprezza il fish and chips potrebbe essere costretto a sostituire il merluzzo con i frutti di mare. La maggior parte del merluzzo venduto nel Regno è infatti importato dalla Norvegia e dall’Islanda. I pescatori britannici sono invece spesso carichi di molluschi freschi, che esportano nel continente. Sul lato chips, al contrario, è tutto sotto controllo: il Paese produce circa i tre quarti delle proprie scorte, pur importando qualche prodotto lavorato.

 

FONTE ANDREA FEDERICA DE CESCO CORRIERE.IT

FOTO CORRIERE.IT

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