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PRESIDENZIALI IN TURCHIA

Comunque andranno, le elezioni presidenziali in Turchia del 14 maggio saranno un problema per l’Unione europea. Secondo i sondaggi il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, e il suo principale avversario, Kemal Kiliçdaroglu, sono testa a testa in vista del primo turno di domenica prossima. L’eventuale ballottaggio è previsto per il 28 maggio. Oltre alle presidenziali, i turchi sono chiamati a rinnovare il Parlamento, dove l’Akp di Erdogan rischia di perdere la maggioranza. L’Economist le ha definite le elezioni più importanti di questo 2023. Diversi giornali, negli ultimi giorni, hanno iniziato a evocare lo scenario di un Erdogan sconfitto, che contesta il risultato e si aggrappa al potere che detiene da vent’anni, trasformando la Turchia da democrazia emergente in un regime sempre più autoritario. L’Ue è pronta a una vittoria di Kiliçdaroglu, alla testa di un’alleanza d’opposizione formata da sei partiti? E’ pronta a un terzo mandato presidenziale di Erdogan, dopo undici anni come primo ministro? E’ pronta a un conflitto trumpiano sui risultati elettorali, ma senza le istituzioni forti che fungono da contropoteri negli Stati Uniti?

Sulla rubrica del Foglio EuPorn, Paolo Peduzzi e Micol Flammini spiegano quali potrebbero essere le conseguenze di una sconfitta di Erdogan per l’Ue. Il presidente turco ci ha abituati a vivere i nostri rapporti con la Turchia in un limbo, in un territorio fatto di alleanze necessarie e diffidenze sagge, di amicizie misurate e antipatie trattenute. Sulla carta, Erdogan è un alleato dell’Ue, prezioso se si pensa alla posizione della Turchia, alla sua potenza militare, alla sua abilità di trovarsi sempre al posto necessario al momento giusto. Con Erdogan e l’Akp l’Ue ha sviluppato un vademecum di comportamenti, che spesso cambiano a seconda del profilo che il presidente turco vuole far vedere, tra interno e internazionale. Ma Erdogan e l’Akp si sono dimostrati anche interlocutori inaffidabili, imprevedibili, a volte perfino ostili verso l’Ue e i suoi stati membri. Deriva autoritaria, repressione interna, uso dei migranti come arma di ricatto, intervento in Siria, campagne militari contro i curdi, amicizia con Vladimir Putin, veto all’adesione della Svezia alla Nato: pur essendo formalmente paese candidato all’Ue, la Turchia di Erdogan si è allontanata sempre più dall’Europa e dai suoi interessi.

Kiliçdaroglu ha fatto promesse che sono accattivanti per Bruxelles, come quella di soddisfare tutti i parametri di riferimento richiesti dall’ordinamento europeo per la legge antiterrorismo che a oggi colpisce soprattutto l’opposizione e i dissidenti. L’obiettivo è di ottenere dall’Ue la liberalizzazione dei visti di ingresso nell’area Schengen per i cittadini turchi. Nel memorandum di intesa del Tavolo dei sei, l’alleanza dei partiti di opposizione, è previsto il riallineamento dell’ordinamento turco ai parametri dell’Ue come prescritto dai 35 capitoli del negoziato di adesione, anche se i ventisette dovessero continuare a tenere la porta chiusa all’ingresso della Turchia. Se sul piano interno l’allineamento europeo non può che far piacere a Bruxelles, è su quello esterno che Kiliçdaroglu rischia di costituire un problema. La sua politica estera di “non intervento negli affari interni dei vicini” potrebbe significare un proseguimento dell’ambiguità di Erdogan su Russia e Ucraina.

Secondo Mujtaba Rahman, dell’Eurasia Group, una vittoria di Kiliçdaroglu sarebbe comunque un problema per l’Ue, perché rilancerebbe la questione delle prospettive di adesione della Turchia. Innanzitutto c’è un problema in termini di tempistica, dato che a Bruxelles si sta surriscaldando il dibattito politico sulle difficoltà legate a un ingresso dell’Ucraina, altro grande paese, che avrebbe effetti dirompenti in caso di adesione per gli equilibri istituzionali, il bilancio, l’agricoltura e molto altro. In sostanza, ha spiegato Rahman, la Turchia potrebbe “avvelenare il dibattito sull’Ucraina”, perché c’è “grande scetticismo sulla capacità dell’Ue di assorbire” due paesi così grandi. “L’Ue non vorrà rigettare esplicitamente le avance di Kiliçdaroglu”, ma “anche se i negoziati di adesione fossero riaperti, sarà sulla base di un’intesa politica che il processa non porterà da nessuna parte, sicuramente non alla membership”.

Il thread su Twitter di Mujtaba Rahman ha provocato una serie di reazioni tra gli analisti turchi ed europei. Per Sinan Uligen, direttore del think tank Edam, “l’Ue perderebbe grande credibilità e ogni pretesa di superiorità morale se non rispondesse positivamente a una Turchia in via di democratizzazione” grazie a una presidenza Kiliçdaroglu. Per il francese Bruno Tertrais della Fondazione per la ricerca strategica, “se l’opposizione vince e c’è un vero desiderio a Ankara di rilanciare le relazioni, allora sarà la nostra responsabilità storica di cogliere il momento”. Secondo Ilke Toygür, professore di geopolitica d’Europa all’Università Carlo III di Madrid, “alcuni funzionari dell’Ue e degli stati membri potrebbero pensare che sarebbe più facile per l’Ue se prevalesse lo status quo” con Erdogan. “Ma non è meglio per l’Ue” continuare ad avere Erdogan perché la Turchia è diventata più “uno sfidante”. Insomma, l’Ue “non dovrebbe perdere questa opportunità storica” di un cambio di regime ad Ankara “a causa dei suoi timori. Sarebbe ora di sistemare le cose con la Turchia. Non sappiamo quale sarà la prossima crisi, ma sappiamo che sarà meglio avere la Turchia a bordo come prevedibile alleato”, ha spiegato Ilke Toygür.

I politici non sempre danno ascolto a esperti e specialisti. E di questi tempi i leader europei sono impegnati in altre crisi e discussioni geopolitiche esistenziali, in particolare quelle legate a Russia e Cina. La strategia sulla Turchia post elezioni non è stata discussa ai massimi livelli e molto poco a quelli inferiori. L’Ue non appare pronta a rispondere ai tre diversi scenari di una conferma di Erdogan, una vittoria di Kiliçdaroglu o di una contestazione dei risultati. La priorità principale rimane l’Ucraina e, di conseguenza, tutti i calcoli ruotano attorno alla guerra di aggressione della Russia: difficilmente l’Ue alzerà troppo la voce, se Erdogan si trasformerà in un trumpiano. Ma, quale che sia lo scenario che si concretizzerà, all’indomani delle presidenziali l’Ue potrebbe trovarsi con un secondo terremoto geopolitico ai suoi confini dopo la guerra della Russia contro l’Ucraina.

FONTE  David Carretta e questa è Europa Ore 7 di lunedì 8 maggio, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo.

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