Cultura

Morto Andrea Camilleri, «papà» del Commissario Montalbano

Aveva perso la vista da qualche tempo, ma aveva mantenuto intatta la capacità di raccontare e di comprendere la realtà con ironia e dolcezza

Se ne è andato questa mattina alle 8,20 Andrea Camilleri, ad un mese esatto dal ricovero in rianimazione all’ospedale Santo Spirito per arresto cardiaco. Da allora non si era più ripreso e le sue condizioni sono andare via via peggiorando, la sua fervida mente danneggiata in modo irreversibile. Dal 21 giugno i medici avevano interrotto i bollettini. Il grande scrittore è stato assistito con immenso amore fino alla fine dalla moglie e le tre figlie che si sono avvicendate nel reparto al secondo piano del più antico nosocomio d’Europa. Aveva 93 anni, da qualche settimana prima del malore si era fermato per una caduta con rottura di femore ma i suoi progetti non si erano arrestati tanto che Nene come lo chiamavano gli amici avrebbe dovuto esibirsi pochi giorni fa a Caracalla.

Da qualche tempo aveva perso la vista, ma la capacità di raccontare era rimasta la stessa: ipnotica, teatrale, capace di mescolare ironia e dolcezza. Fino all’ultimo Andrea Camilleri, nato a Porto Empedocle il 6 settembre 1925, ha continuato ad affabulare: le avventure di Montalbano, le memorie dettate alla sua assistente e agente Valentina Alferj anche quando non poteva più scrivere, i ricordi di una vita lunga, affrontata sempre stando dentro le cose, vivendo appieno il suo tempo con consapevolezza e generosità.

Raccontava che il suo libro, «Esercizi di memoria», uscito nel 2017 da Rizzoli «aveva rischiato di rimanere nel cassetto» e non per via della cecità, ma perché, con umiltà, lui che aveva venduto milioni di copie ed era in grado di attirare folle a ogni incontro, si chiedeva a chi potessero interessare quelle storie private.

Andrea Camilleri è stato autore di oltre cento libri, tutti pubblicati in età matura. «Un filo di fumo», uscito da Garzanti nel 1980, fu il primo di una serie di romanzi storici ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana di Vigàta a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, a cui erano seguiti «La strage dimenticata», «La stagione della caccia», «La bolla di componenda». Erano libri di nicchia, che piacevano ai lettori più raffinati. Camilleri aveva portato a Leonardo Sciascia i documenti della «Strage dimenticata» perché gli sembravano molto in linea con il genere a cui l’autore del «Giorno della civetta» si dedicava in quegli anni, cioè la ricostruzione di vicende storiche emblematiche ma dimenticate. Sciascia lo invitò a scrivere quella storia lui stesso e lo presentò a Elvira Sellerio con cui Camilleri instaurò un lungo e affettuoso sodalizio durato fino alla fine.

Del 1994 è la nascita del commissario Montalbano con «La forma dell’acqua», primo libro della serie. Nel 1998, il fenomeno esplose con la serie televisiva interpretata da Luca Zingaretti imponendosi come uno dei casi editoriali più significativi degli ultimi vent’anni. Con le avventure del commissario e dei suoi colleghi Augello, Fazio, Catarella e gli altri, Camilleri è riuscito a portare tutti, anche i lettori del Nord, nella Sicilia bianca e azzurra, quella del ragusano, da cartolina, ma reale. Lo ha fatto con quel suo dialetto reinventato, solo apparentemente difficile da capire, costringendo tutti a imparare il significato di parole come cabasisi, spiare, cataminarsi.

Non aveva pose da grande saggio né da autore superstar, Camilleri. Non amava la solitudine e quando partecipava a un incontro pubblico, durante un festival o una presentazione, quando, magari forzando le cautele del suo entourage familiare, preoccupato che si stancasse troppo, si entrava nella sua casa romana per un’intervista, un servizio fotografico, un incontro, si abbandonava a una disponibilità senza condizioni.

Seduto nello sua poltrona, circondato dai libri, distillava il fumo della sigaretta sempre tra le dita e piccole gemme narrative: lo sbarco degli alleati in Sicilia, il padre, amatissimo, che aveva partecipato alla marcia su Roma, gli anni del liceo ad Agrigento, l’amore per i gatti. E poi il mondo del teatro (aveva iniziato a fare il regista negli anni Quaranta) e della tv (nel 1957 era entrato in Rai, aveva firmato, come sceneggiatore, alcune produzioni tra cui due serie poliziesche rimaste leggendarie, il Tenente Sheridan interpretato da Ubaldo Lay e il Maigret di Simenon con Gino Cervi), le vicende (romanzesche) della sua creatura più famosa, il commissario Montalbano.

Ma anche quello che definiva «il teatrino del mondo»: l’attualità, la politica, i cambiamenti sociali che fossero il ruolo dell’Europa, l’emergenza migranti o l’avanzata del populismo perché, come scrive in «Ora dimmi di te», libro- lettera alla bisnipotina Matilda edito da Bompiani nel 2018 «l’ultima cosa che ho imparato consiste nell’avere necessariamente un’idea, chiamala pure ideale, e a essa attenersi fermamente ma senza nessuna faziosità, ascoltando sempre le idee degli altri diverse dalle proprie, sostenendo le proprie ragioni con fermezza, spiegandole e rispiegandole, e magari perché no, cambiando la propria idea».

FONTE CORRIERE.IT

FOTO CORRIERE.IT

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CORRIERE.IT
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